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LA NOSTRA EQUITAZIONE DI ORIGINE MILITARE

 

 

Ritorno sull’argomento, peraltro già trattato nell’articolo “L’eredità di Caprilli”  perchè in un articolo pubblicato sul n° 3/2020 della Rivista di Cavalleria dal titolo corretto di “Equitazione di Scuola” vengono fatte delle affermazioni illogiche e contradditorie per sostenere una presunta unità tra l’equitazione del Sistema Naturale inventato dal Cap. Caprilli e l’equitazione di scuola proveniente dalle grandi scuole di equitazione europee e praticata oggi in molti paesi del mondo inquinata dal metodo delle flessioni introdotte in Francia nell’ ‘800 dal cavaliere da circo F. Baucher.

 

 

 

 

La formazione di Caprilli faceva riferimento a quella classica della scuola di Versailles che si era via via evoluta in senso moderno per l’apporto di grandi talenti fino ad arrivare al capo scuola Conte d’Aure il cui libro, “Trattato di Equitazione” dovrebbe costituire ancora oggi la base per la formazione culturale degli istruttori:  esso prevede l’ottenimento dell’equilibrio del cavallo attraverso le resistenze graduate della mano (pag. 39-41) all’impulso rese possibili da un assetto che viene fermato dalla spinta dei talloni in basso.

 

 

 

 

 

Il Cap. Caprilli aggiunse, con visione moderna e dinamica, la possibilità del cavaliere di unirsi, non al cavallo, ma al suo movimento attraverso il “giusto uso della staffa” che gli consente di alleggerirsi in sella e mettere il suo baricentro in sintonia con quello, molto mobile, del cavallo.

 

 

 

 

Da quel momento, l’equitazione non ha più lo scopo di adattare il cavallo alle esigenze del cavaliere, ma quello di permettere al cavallo di usare nel modo migliore i suoi mezzi dinamici (l’incollatura e la schiena) facendone così, non più un mezzo di trasporto, ma un vero protagonista.

 

 

 

 

 

Di conseguenza, vi è una grande differenza nelle modalità per la pratica delle due equitazioni: mentre in quella di scuola si esercita essenzialmente il cavallo a rispondere alle azioni del cavaliere (gambe, mani ed assetto), nell’equitazione naturale l’azione dell’assetto ha una funzione determinante.

L’autore dell’articolo critica la “pretesa” del Sistema di essere compiuto ed immutabile citando il libro del marchese Mangilli: ma nel libro, di equitazione naturale non vi è nemmeno l’ombra dal momento che si prescrive(per sollevarsi) di prendere la spinta dalla schiena del cavallo nonchè che la gamba, anzichè naturalmente cadente, dovrebbe essere aderente al cavallo.

 

 

D’altro canto, Mangilli proveniva dall’equitazione di scuola ed era stato a Pinerolo, ma senza alcun ruolo direttivo. Era un uomo di grande carattere e capacità (dimostrati anche durante la Resistenza), grande conoscitore di cavalli e di cavalieri, ebbe a Sua disposizione dalla FISE la possibilità di acquistare i migliori cavalli in Irlanda, di scegliere i migliori giovani cavalieri presenti in Italia e la completa disponibilità del centro dei Pratoni del Vivaro per prepararli.

Mio Padre fu invitato all’ultima prova prima della partenza per le olimpiadi: dei cinque cavalli di grande qualità rimasti due furono rotti in un galoppo dissennato perchè fatti galoppare in andatura da soli, senza pista e su di un terreno irregolare.  Ciò malgrado vinse le olimpiadi ma bisogna, come ha scritto P. Angioni, mettere nel giusto valore quello grandissimo dei cavalieri che per 4 anni si sono assoggettati ad una disciplina di tipo militare.

Nel ’71, Mangilli venne a Montelibretti per verificare la preparazione dei nostri cavalli per una preolimpica a Monaco: gli chiesi notizie dei cavalli di cui disponeva e mi disse che quello che riteneva il migliore non era riuscito a trovare un cavaliere.

 

Nel ’76 vidi da un comunicato FISE che il cavallo veniva messo all’asta a prezzo di macello: decisi, con un pò di presunzione, di acquistarlo.  Ma era in condizioni pessime con una tendinite molto grave all’anteriore sinistro ed un’artrite pronunciata al posteriore destro.  Lo portai a Tor di Quinto ed il giorno dopo andai a montarlo: al centro del piazzale, dopo pochi passi, era già a candela rivelando un carattere spiccato e nessuna sottomissione.  Per riuscire a trovare un minimo di cadenza, dovetti trottare in circolo per un’ora!  Ma dopo tre mesi, semplicemente trottando sulla pista di sabbia, aprendo le spalle e sollevando il mento (dopo averlo fatto lavorare a mano per un’ora dal palafreniere, la cui opera non va sottovalutata) ho partecipato ad un concorso e mi offrirono 10 milioni per acquistarlo. Dopo due anni (’78) potei partecipare a tre concorsi di fila (ogni tre mesi andavo al campo) e mi classificai 5° su 102 a Piazza di Siena, cavaliere meglio classificato al concorso di Caserta (vincendo il GP) ed a quello di Porano.  L’anno successivo partecipai ai campionati assoluti ed all’internazionale di Palermo (3°).

 

 

 

Questo racconto mi pare che dimostri in modo inequivocabile i limiti di Mangilli, erroneamente preso a modello.   L’articolo prosegue dicendo con molta superficialità che oggi non vi sono più differenze e che quello che conta è di praticare una buona equitazione.  Giustamente afferma che si giudica dalle andature ma omette di precisare quando esse sono corrette: nell’equitazione naturale quando coprono molto spazio, in quella di scuola quando sono rilevate e cadenzate.  Vengono poi citati dei capi scuola stranieri che nulla hanno a che vedere con l’equitazione naturale.  Avrebbe dovuto citare il Col. Cossilla, Istruttore a Pinerolo negli anni ’30, mio padrino ed istruttore, che scrive nel suo libro: nell’equitazione di scuola, quando il cavaliere fa cessare le sue azioni, il cavallo non sa più che cosa deve fare; in quella naturale va meglio perchè si responsabilizza.

Osservando i cavalieri di oggi, la maggior parte pratica l’equitazione di scuola perchè lavora seduto, provocando la contrazione delle vertebre dorsali e lombari, la rigidità della colonna vertebrale che lo porta a coprire meno spazio (Giniaux): quando non è seduto è sollevato, ma sempre dietro al baricentro del cavallo.

 

 

 

 

Invece il cavallo preparato nell’equitazione naturale si vede perchè scorre agevolmente e naturalmente sotto il cavaliere che non è nè sollevato, nè seduto, ma “inserito” dall’indietro in avanti nel movimento del cavallo. Si può osservare il cavaliere neozelandese Tim Price nelle difficili combinazioni di fronti stretti, come lasci scorrere il cavallo senza la necessità di riprenderlo tra un ostacolo e l’altro (ma anche lo svedese Peder Friedricsson).

Per concludere, mi sembra che il compito della nostra equitazione militare sia quello di far vedere, nell’uniformità, un modello del Sistema di equitazione naturale.

Carlo Cadorna

ECCO UN BELL’ESEMPIO DI QUANTO SCRITTO:

https://www.bing.com/videos/search?q=youtube+bezzie+madden+darry+lou&docid=608027306017518342&mid=B81A2A03708E58986D04B81A2A03708E58986D04&view=detail&FORM=VIRE

 

 

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10 Responses to “LA NOSTRA EQUITAZIONE DI ORIGINE MILITARE”

  1. Angelo Putignano #

    Ho letto con piacere e vivo interesse quanto pubblicato

    27 Gennaio 2021 at 08:24 Rispondi
    • lastriglia #

      Grazie!!! Purtroppo i cavalieri militari più rappresentativi, negli ultimi due anni, non hanno corrisposto alle attese nè sul piano agonistico nè su quello tecnico. Poichè, anche su mia sollecitazione, è stato compilato un manuale militare (del quale però non ho potuto prendere visione), è importante che chi è interessato alla sopravvivenza della nostra più importante ed attuale tradizione prema sui comandi responsabili per una maggiore trasparenza che consenta una verifica dell’effettiva aderenza della circolare ai principi caprilliani (cosa della quale ho motivo di dubitare fortemente)!

      29 Gennaio 2021 at 07:50 Rispondi
  2. giuseppe maria de nardis #

    Da molti anni, quando si assiste ad un concorso a cui partecipano cavalieri militari, non si vede più quella uniformità di monta che caratterizzava i cavalieri in divisa ed era indice di una scuola. Ognuno monta come vuole e sa. La vulgata dice che i percorsi ed i cavalli non sono più come una volta. Vero, soprattutto per i cavalli, di una qualità genetica inimmaginabile prima. Ma le altezze sono le stesse, al netto talvolta di una maggiore trasparenza dei salti. Non credo che oggi molti cavalieri riuscirebbero a superare certi percorsi con i cavalli che si allevavano quaranta e più anni fa.
    Sarei curioso di fare un’indagine statistica per sapere quanti conoscono, non dico letto, Cossilla. La troverei interessante soprattutto tra gli Istruttori Federali.

    giuseppe maria de nardis

    31 Gennaio 2021 at 19:52 Rispondi
    • lastriglia #

      Il senso del cavallo dei cavalieri di oggi, con le dovute eccezioni nel mondo, è quello dell’equitazione di scuola che, di Caprllli, ha accettato soltanto una relativa assonanza nel salto: infatti, anzichè esercitare il controllo sull’equilibrio e sull’impulso del cavallo, ne controlla ogni tempo di galoppo. Aggiungo che nessuno oggi comprerebbe un cavallo di 40 anni fa perchè considerato NON CAVALCABILE!

      1 Febbraio 2021 at 08:34 Rispondi
  3. Alberto Alciator #

    E’ un tema sempre attuale. Ho visto che è stato pubblicato un libro che si intitola “Dressage For Jumping”. Premesso che il libro non l’ho letto, l’idea di dare indicazioni di lavoro in piano a cavalieri che praticano salto ostacoli è di per sé giusta ma un libro del genere mi lascia qualche perplessità perchè è un tema sul quale c’è sicuramente molta confusione. L’autrice da quel che ho capito ha messo insieme vari esercizi presi da vari libri Ha creato anche una pagina facebook dove vengono dati altri consigli e dove sono pubblicati alcuni video degli esercizi con barriere e cavalletti proposti. Questi video mi lasciano ulteriori perplessità. Potrebbe cortesemente darmi una sua opinione ad esempio sull’esecuzione dell’esercizio che si vede in questo video?:

    https://www.facebook.com/278516049707969/videos/869380330507136/

    Grazie come sempre per il suo prezioso lavoro.

    Alberto Alciator

    7 Febbraio 2021 at 22:11 Rispondi
    • lastriglia #

      Caro Alberto, Tu sai sempre affrontare i temi equestri nel verso giusto. Il lavoro di un cavallo da salto deriva soprattutto dalla qualità dell’assetto del cavaliere che deve assecondare le giuste iniziative del cavallo: sono quelle che vedono un buon utilizzo delle reni (quelle che sviluppano la muscolatura nella zona lombo-sacrale) ed un buon utilizzo dell’incollatura (le due cose sono collegate tra di loro). Nel video si vede un’amazzone che anzichè avanzare con il bacino, va indietro: di conseguenza va a premere sulle vertebre dorsali provocando la rigidità della schiena (Giniaux) ed il tirare delle mani anzichè il cedere. L’atteggiamento in difesa del cavallo lo dimostra. I cavalletti servono soltanto ad aumentare lo sforzo innaturale del cavallo provocandogli sicure lesioni sulla schiena. Per comprendere la buona equitazione bisogna procedere per gradi: si deve cominciare con il lavoro a mano abbinando impulso e cadenza: 1 ora al giorno su strada fino ad ottenere che il cavallo tenga impulso e cadenza da solo senza più bisogno di sollecitazioni nè di azioni della mano (che deve impugnare pari le redini del filetto). Quando si è ottenuto il risultato a mano, bisogna riprodurlo montati: ma è impossibile se il cavaliere non sa usare le staffe per mantenere l’equilibrio con il cavallo.

      10 Febbraio 2021 at 17:04 Rispondi
  4. giuseppe fazzio #

    Egregio signor colonnello Carlo Cadorna, potrebbe per favore sviluppare meglio il concetto che riguarda il lavoro sugli ostacoli collegati da distanze obbligate, dando anche degli esempi numerici sulle distanze da adottare.

    In un articolo postato in questo blog, lei cita l’operato del colonnello Piero d’Inzeo come direttore di campo, il quale aveva adottato “distanze corte” per i primi ostacoli, mi sembra in un campionato delle scuole. Sarebbe interessante approfondire il criterio adottato dal d’Inzeo nella disposizione di quelle distanze .

    I testi di Bacca, Badino Rossi, ma anche di Klimke, adottano la distanza calcolando la falcata di 3,50 cm anche tra due barriere a terra, distanza quest’ultima, considerata comunemente eccessiva per ostacoli bassi.

    18 Luglio 2021 at 12:42 Rispondi
    • lastriglia #

      Bisogna chiarire che il discorso sulle distanze è strettamente legato al tipo di equitazione che si pratica: ve ne sono essenzialmente due. Una che adatta il cavallo al cavaliere che ha un assetto statico, incapace di assecondare il movimento in avanti del cavallo. Di conseguenza il cavallo svilupperà la sua muscolatura nella continua ricerca di un compromesso tra l’avanzare ed il mantenere un certo equilibrio. Il risultato sarà un cavallo che avrà difficoltà a coprire spazio (coprire e sopravvanzare le orme). Il secondo invece prevede che il cavallo ricerchi sempre l’equilibrio avanzando al massimo: questo si ottiene ricercando la tensione dell’incollatura dall’indietro in avanti e mantenendola con la mano che ovviamente deve “andare” non con il cavallo ma col suo movimento. Consiglio di iniziare con il lavoro a mano dove la mano dx tiene le redini e resiste – cedendo alla tensione dorsale creata dalla frusta lunga tenuta dalla mano sx. Se la mano dx impone la cadenza su di una tensione che non è mai troppa, il cavallo impara a flettere le anche, rallentando il ritmo (cadenza) e mettendosi in equilibrio. Il risultato finale sarà che il cavallo salterà le barriere a terra a 3,50 che tenderanno a diventare 4,00 con gli ostacoli. Con l’altro sistema 3,50 sarà un punto di arrivo. 25 anni fa ho potuto vedere due stage susseguenti: il primo di un’amazzone inglese, vincitrice a Badminton, basato sulle distanze strette. Il secondo (la settimana dopo) di R. d’Inzeo su quelle larghe che nel percorso del terzo giorno dimostrò in modo evidente la superiorità del suo metodo. L’esercizio che R. d’Inzeo proponeva e che considerava basilare era costituito da una linea di barriere (1,50) da affrontare al trotto che terminava a 2,50 su di un verticale; quindi a 3,50 una barriera a terra ed a 3,50 un largo da allargare gradualmente. Aggiungo che prima o poi i cavalli preparati con le distanze strette avranno gravi problemi agli arti. Questo basta ed avanza per poter affermare che è un metodo sbagliato: l’ho sperimentato nelle corse ostacoli, nel completo e nel salto ostacoli. Nel lavoro sugli ostacoli in linea bisogna curare la cadenza lasciando al cavallo il problema delle distanze: esse devono quindi variare continuamente. Con il tempo i cavalli imparano a misurare al meglio.
      Per quanto riguarda l’opera di P. d’Inzeo, ha inteso facilitare i cavalli chiedendogli poco impegno fino a che la muscolatura era fredda.

      19 Luglio 2021 at 20:26 Rispondi
  5. Buongiorno, leggo sempre con molto interesse i suoi articoli, credo che Lei sia rimasto uno degli ultimi che possa permettersi di parlare di Equitazione in modo competente.
    Ho anche comprato il suo ultimo libro.

    Volevo solo una informazione, lei cita un articolo tratto dalla Rivista di Cavalleria.

    Mi potrebbe dire quale anno e che numero di Rivista?

    Grazie Stefano Zanantoni

    14 Novembre 2023 at 19:52 Rispondi
    • lastriglia #

      Caro Zanantoni,
      si tratta di un articolo del Cap. Andreis pubblicato sul n° 3 del 2020/ Rivista di cavalleria.
      Quanto al problema tecnico del Manuale Militare ho fatto qualche progresso in ambito militare: ai vertici vi è finalmente consapevolezza del problema….
      Un caro saluto
      Carlo

      17 Novembre 2023 at 11:32 Rispondi

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