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RIFLESSIONI ed ESPERIENZE sull’ADDESTRAMENTO del CAVALLO

Addestrare un cavallo significa metterlo nelle condizioni psichiche e fisiche idonee ad esprimere la massima prestazione atletica che gli è possibile. L’atteggiamento psichico del cavallo è condizionato da quello fisico perché tende sempre a fare quello che gli riesce meno faticoso o sgradevole.
Non si può definire addestrato un cavallo che presenta qualunque difficoltà nel maneggiarlo o nel montarlo. L’addestratore deve usare soprattutto il cervello ed avere il pieno controllo delle sue azioni, in particolar modo quando punisce.

Il cavallo è un animale pauroso ma buono. Diventa aggressivo soltanto se viene maltrattato o ha dei dolori fisici (alla colonna vertebrale sopratutto). L’addestramento avviene per gradi: non si deve passare al grado successivo se quello precedente non è stato completamente assimilato.  L’inizio è particolarmente importante perché gli rimarrà impresso tutta la vita.

Fin dalla prima lezione il cavallo deve accettare la superiore volontà dell’uomo. Lo si farà entrare in un tondino avendo a disposizione una capezza, una frusta e qualche carota. Lasciata la frusta, si andrà verso il cavallo con la capezza. Se non si fa prendere, si prende la frusta e lo si fa girare finchè non dà segni, con le orecchie (punta quella interna verso l’addestratore), di volersi fermare.

Allora, si ripete la prima operazione e così di seguito finchè non comprende che è più comodo farsi mettere la capezza che lavorare. Quindi si premia con una carota.

Il passo successivo è quello di insegnargli a non tirare indietro. Si mette al cavallo una capezza a scorsoio (maremmana o barnum) e si lega il capo ad un palo. Tirando sulla capezza, si sollecita la reazione del cavallo.    Si aiuta l’effetto dello scorsoio mettendosi dietro al cavallo con la frusta e lo si rimanda in avanti. In cinque minuti assimila il cedere alla capezza con l’allentamento dello scorsoio. Carote.

Ora non avrà problemi a seguire l’uomo sul van o in scuderia e non sarà soggetto ai gravi incidenti provocati dalle reazioni naturali.  Questa lezione ha un effetto formidabile sulla psicologia del cavallo perchè lo fa dubitare della sua forza istintiva:  bisogna continuare l’addestramento richiedendogli la forza nella decontrazione, mai sulle resistenze.

Questa procedura (sottomissione alla capezza) può sembrare un po’ brutale, ma non lo è se effettuata su un puledro da domare da persona fornita di un minimo di destrezza.  Eviterà al vostro puledro tutti gli incidenti che si verificano quando il cavallo reagisce, con la forza, alla costrizione di una capezza, delle pareti del box, di una recinzione etc… Inoltre ha il grande vantaggio che può essere applicata anche ad un cavallo brado o semibrado con grande risparmio di tempo. Non conosco nessun metodo così efficace e, nello stesso tempo, così rapido(una sola lezione di 30′).

Ora può essere agevolmente insellato e montato, prima in un box e poi alla corda nel tondino (consiglio il lavoro con la doppia redine perché consente di ottenere una maggiore sottomissione per l’azione della redine esterna sul posteriore esterno).  La prima lezione montata è la più importante di tutto l’addestramento!   E’  basata sulla transizione dal passo all’alt;  deve ottenere che il cavallo comprenda la differenza tra la mano che cede e la mano che resiste. Quando la mano cede il cavallo deve avanzare mantenendo l’appoggio sollecitato dalla frusta cui si sostituisce, gradualmente , la gamba.  Quando la mano resiste, il cavallo deve lasciare la mascella inferiore e fermarsi. Non appena il cavallo comprende ed ubbidisce,  la mano cede.

Ottenuto questo risultato, conviene portare il cavallo in terreno vario, a fare delle lunghe passeggiate in compagnia di un cavallo esperto.

Essenziale è abituarlo alla ferratura: deve dare i piedi in completo abbandono.  Molti anni fa acquistai una cavalla che alla prima ferratura denunciò delle difficoltà insormontabili.  Scoprii che aveva mandato all’ospedale diversi grooms. Riuscii alfine a farla ferrare dai carabinieri che usarono un metodo militare, legandole i posteriori alla coda:  operazione comunque difficile che richiedeva almeno due energumeni ed un’intera mattinata di tempo. In quel periodo mi trasferii in campagna e, trovandomi solo, iniziai a fare il maniscalco. Decisi quindi che avrei ferrato la cavalla da solo. La necessità aguzza l’ingegno: alzai un posteriore ed immediatamente la cavalla lo irrigidì.
Frustata sulla groppa. Poi appoggiai la frusta ben alla vista della cavalla. Dovetti ripetere l’operazione un’altra volta soltanto.
Per molti anni ho ferrato la cavalla senza alcun problema (con la frusta ben in vista!).

Un altro problema che quasi tutti i cavalli prima o poi presentano è quello dell’impennata. Bisogna rendergliela più sgradevole del lavoro che rifiutano. Il modo più semplice è quello, mentre il cavallo è in aria, di attaccarsi con una mano al collo e con l’altra strattonare sulla bocca. Vi assicuro che non ci provano più.

 

 

 

 

 

E’ facile da fare con i puledri perché non si alzano a candela;  con i cavalli, nei quali questa difesa si è consolidata perché il loro cavaliere non ha saputo vincerla per tempo,  è più rischioso perché hanno imparato a stare a candela e c’è il rischio di rovesciarsi all’indietro. Bisogna avere coscienza della propria destrezza e velocità nell’attaccarsi al collo.

Lo stesso principio si applica durante tutto l’addestramento montato:  far apprezzare al cavallo una posizione per lui comoda e naturale che gli consenta di ottenere il massimo risultato col minimo sforzo, cioè l’impulso.

I problemi fisici del cavallo possono essere di carattere strutturale o veterinario. Questi ultimi sono molto più frequenti di quanto i cavalieri sospettino. In linea di principio, un cavallo veramente sano, montato da un cavaliere con un assetto corretto, non dovrebbe presentare rigidità di sorta.
Sappiamo invece da F. Tesio (ma l’ho sperimentato anch’io) che un terzo dei puledri si presenta alla doma con qualche problema fisico dovuto ad incidenti vari. Eppure Tesio aveva del personale di prim’ordine e dei recinti ben fatti! In genere si tratta di artrosi alle articolazioni posteriori alte o di spostamenti- blocco delle vertebre, difficili da diagnosticare.

Cominciano ad essere evidenti durante il secondo periodo dell’addestramento, quando il cavallo inizia a portare peso sui posteriori.  Ma ho imparato su di me, grazie all’aiuto di bravissimi ortopedici, che le artrosi possono essere curate.  Le ossa si consumano e ricrescono in continuazione: le artriti sono dovute a processi infiammatori che producono riparazione ossea. Bisogna quindi far consumare le formazioni ossee artritiche combattendo le infiammazioni che le determinano. Come togliere la ruggine da una cerniera.
La soluzione sta nel movimento di lunga durata e bassa intensità abbinato, eventualmente, all’uso degli antinfiammatori. L’andatura del passo, portato alla sua massima estensione,  è la più efficace nell’addestramento di base.

Le vertebre possono essere messe a posto e la loro funzione riattivata da un osteopata  attraverso la manipolazione. Tale operazione dovrebbe essere fatta al più presto per evitare altre lesioni dovute a compensazione.

Quindici anni fa, su segnalazione del mio istruttore Gen. Grignolo,  ho avuto un contratto dal governo indiano per la selezione e la preparazione delle squadre ai Giochi Asiatici di Bankok. Per il completo, mi era stata assicurata la disponibilità di una trentina di cavalli idonei.
Al mio arrivo fu organizzata una specie di ispezione veterinaria con tanto di tribuna, guide rosse, bandiere colorate ed una sfilza di generali  in grande pompa. Ad uno ad uno furono presentati i cavalli: erano tutti bellissimi animali ma si trascinavano con movimenti rigidi ed irregolari; ad una osservazione più attenta, presentavano arti pieni di contusioni dovute probabilmente ad un sistema di ferratura sbagliato (ho scoperto poi che ricalcava le stampe inglesi dell’800).
Quel giorno pensai che quella presentazione era ridicola; in seguito mi resi conto che era quello che avevano visto fare agli inglesi e che, intelligentemente, avevano adottato secondo la massima di Gandhi “gli inglesi sono parte della nostra storia”.

In definitiva,  avevo a disposizione un cavallo sano, tre o quattro con problemi non gravi, il resto inservibile. Mi resi conto che non potevo perdere nemmeno un cavallo ed avevo solo tre mesi per prepararli ad un CCI una stella(ma si rivelerà più difficile) con dei cavalieri che in Italia stenterebbero a prendere il patentino B. Faceva molto caldo ed il terreno era duro e piatto. Decisi così di far costruire una fila di cavalletti:  per due settimane, la mattina dalle 6 alle 8 e la sera dalle 17 alle 18, feci passare i cavalli al passo sui cavalletti (per far flettere le loro articolazioni) mentre i cavalieri facevano esercizi per migliorare l’assetto. La seconda settimana anche qualche transizione.

La commissione che governava la federazione aveva organizzato una presentazione dei binomi in rettangolo al mio arrivo ed una dopo due settimane per vedere i risultati del lavoro. Seppi poi che, in caso di risultato insoddisfacente, era già pronto un istruttore argentino. Ma, con loro meraviglia, dal momento che il mio lavoro veniva commentato in modo ironico, alla seconda prova i cavalli erano trasformati: mostravano delle andature e delle transizioni che nella prima prova erano assenti.

Gli stessi cavalli, la settimana successiva, cominciarono a galoppare ed arrivarono ai Giochi in perfette condizioni.  Assicurarono all’India l’unica medaglia e mi valsero i complimenti di Elena Petuschkova (famosa campionessa russa di dressage) e di Paul Weier (campione svizzero S.O.).

I problemi fisici di carattere strutturale, escludendo i difetti gravi di appiombo,  sono dovuti ad una struttura naturalmente squilibrata.  Unendo il terzo superiore della scapola con l’ articolazione coxo-femorale si ha la linea di equilibrio del cavallo che dovrebbe essere orizzontale. Se è in discesa verso la scapola il cavallo sarà naturalmente squilibrato in avanti.

   Spesso sono cavalli molto potenti, ma chi li acquista deve sapere che prima di poter ottenere la riunione deve far si che si mettano in equilibrio attraverso l’abbassamento delle anche.  Questo risultato si ottiene soltanto con l’esercizio dell’estensione dell’incollatura e richiede molto tempo(anni) e capacità.

Più in generale, il lavoro del cavallo consiste nell’esame della sua struttura, degli squilibri fisici e muscolari, allo scopo di adottare modalità di lavoro atte alla loro correzione graduale.  E’ essenziale accontentarsi di un piccolo progresso al giorno, sia per conservare la collaborazione del cavallo, sia soprattutto perché altrimenti il cavallo si rompe:  cercherà di compensare le insufficienze superiori attraverso un uso innaturale degli arti inferiori.

Per regolarsi nel lavoro occorre considerare che i muscoli si sviluppano quando si contraggono;  ma per potersi contrarre devono prima allungarsi.

Il lavoro in circolo (al passo e trotto) sviluppa la spinta dell’arto posteriore esterno e la capacità di sostentamento di quello interno (che quindi è quello che si affatica di più fintanto che il cavallo non raggiunge il perfetto equilibrio – quando lo raggiunge e si vede perché comincia a saltare da un diagonale all’altro, fatica più quello esterno che compie più strada-).

Al galoppo le funzioni sono invertite e, non essendo un’andatura simmetrica, quasi tutta la fatica ricade sul posteriore esterno che, nel primo tempo, deve sostenere tutta la massa del cavallo.  Infatti il cavallo con un laterale dolente galopperà più volentieri proprio su di esso.

Nel trotto leggero si affatica maggiormente il posteriore che allontana il cavaliere (che deve tuttavia facilitare tale compito compiendo le azioni per sollevare l’inforcatura; infatti, non sarebbe logico prendere la spinta dalle reni del cavallo quando invece, nel salto, le si alleggerisce). Di conseguenza, trottando sul diagonale interno si impegna maggiormente il posteriore interno e si sollecita la spinta di quello esterno, trottando su quello esterno, si distribuisce la fatica tra i due posteriori (“La distribuzione del lavoro”).

In un cavallo a fine lavoro,  si facilita il movimento corretto trottando sul diagonale interno anche perchè il cavaliere si trova seduto quando il posteriore esterno è in posizione di spinta ed è quindi facilitato ad usare la gamba in modo efficace.   Al galoppo, per lo stesso motivo,  lo si predispone trottando sul diagonale esterno.

Il lavoro in collina tende a pareggiare la spinta dei posteriori: in leggera salita l’andatura ideale è il trotto lento perché il cavallo non si può aiutare con il movimento dell’incollatura e deve inarcare la schiena per allungare il braccio di leva, e fare così meno fatica. In discesa il passo perché aiuta il cavallo a comprendere il meccanismo per rientrare (la transizione passo-alt insegna al cavallo il piaffer);  inoltre le altre andature gravano troppo sui piedi, che vanno risparmiati.

Il passo indietro, eseguito senza tirare con le mani, è un eccellente esercizio per migliorare la flessibilità delle articolazioni posteriori (anche eseguito in leggera discesa). Lo spostamento della groppa sulle spalle, è un ottimo esercizio per migliorare la funzionalità di vertebre ed articolazioni.

Il lavoro su due piste sviluppa più la funzione di sostentamento che quella di spinta(solo il cedere alla gamba sviluppa la funzione di flesso-estensione): è quindi più adatto ai cavalli che si specializzano nel dressage (“L’Equitazione nell’ottica delle funzioni”).

In quelli che devono saltare, le due funzioni si devono sviluppare in perfetto equilibrio,  come certamente si ottiene lavorando prima sulle barriere a terra e poi sui cavalletti.

                                                                              Carlo Cadorna

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