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L’IMPORTANZA DELL’IMPULSO

      

L’impulso è il desiderio del cavallo di avanzare, sottomesso agli aiuti del cavaliere.                                                                                          

In articoli precedenti ho già parlato dell’impulso e del modo di valutarlo (“La tensione dorsale”-“Equitazione, benessere del cavallo e dressage”).  Vediamo quindi qual è la sua relazione con il lavoro quotidiano. 

Diciamo subito che la conquista dell’impulso è lo scopo dell’addestramento perché il cavallo che riesce a produrne tanto è in grado di effettuare qualunque esercizio, a cominciare dal salto corretto e dal sollevamento della base dell’incollatura che esso comporta (“L’addestramento del cavallo”), senza sforzo e, da parte del cavaliere, con la semplice assistenza dell’azione del peso del corpo (“L’azione del peso del corpo”). 

Non c’è manuale di equitazione serio, scritto negli ultimi 150 anni, che non ponga l’impulso come conditio sine qua non per l’utilità dell’addestramento.  Piero d’Inzeo addirittura lo metteva prima della decontrazione.  Oggi abbiamo una diversa attenzione al benessere del cavallo (che è diventato una scienza) ed utilizziamo la decontrazione per ottenere l’impulso. 

 

 

 

 

 

Esso si manifesta con la tensione dorsale che si esprime nella mano come una pressione verso l’avanti uguale dai due lati (giusto nella mano) e sotto il controllo del cavaliere (distaccato dalla mano). Il presupposto per ottenere la tensione dorsale è che il cavallo avanzi (=coprire spazio) a richiesta del cavaliere (“L’azione delle gambe”) usando la schiena (significa che deve muoversi tutto e non solo le gambe).  La capacità del cavallo di creare e mantenere la tensione dorsale diventa, con la condizione fisica, una qualità essenzialmente psicologica.

 

 

 

 

 

 

 

Di conseguenza, UDITE UDITE, qualsiasi esercizio effettuato con il cavallo in una situazione diversa, è inutile e controproducente ai fini dell’addestramento reale del cavallo (“L’addestramento del cavallo”- “Cross-Country: equitazione in declino?”).   E’ come agire sul timone di una barca quando il vento tende poco o nulla la vela!

 Che dire quindi dei numerosi cavalieri che, pur non avendo il cavallo giusto nella mano, effettuano esercizi su due piste e si riempono la bocca di paroloni per dimostrare la loro presunta cultura equestre (“Il benessere del cavallo è soltanto una bella parola?”).   Mi pare che ogni commento è superfluo! 

Il lavoro su due piste sottrae impulso (“L’equitazione nell’ottica delle funzioni”) e quindi deve essere riservato a quei cavalli che ne hanno tantissimo.   Per fare un esempio, il cavallo della foto in alto ha una buona tensione dorsale (è senza capezzina e mastica) ma deve abbassare ancora un pochino le anche e sollevare di altrettanto la fronte.   Quando sarà così, e non ci vuole molto tempo,  potrà iniziare anche il lavoro su due piste (per il principio, fondamentale, della progressione del lavoro).

Nel lavoro quotidiano  la ricerca dell’impulso è primordiale. Si inizia favorendo l’oscillazione della linea dorsale al passo allungato e pareggiando la tensione mano a mano che si manifesta;  quindi, a seconda del livello raggiunto nell’addestramento dal cavallo, movimenti di maneggio, transizioni ed esercizi nelle altre andature, idonei allo sviluppo delle funzioni di spinta e di sostegno(“L’equitazione nell’ottica delle funzioni”). 

Il cavallo che ha impulso non deve tirare, ma deve portare la mano in avanti di un cavaliere fermo in sella e con le braccia rilasciate:  se tira significa che nel lavoro si è curata molto la spinta e poco la flessibilità delle articolazioni posteriori.

 

 

 

 

 

 

L’abilità del cavaliere (o dell’istruttore) sta nel comprendere qual è, nella vasta gamma di possibilità, l’esercizio più idoneo per quel cavallo, in quel momento.   Ma, in linea di principio, il miglior lavoro consiste nella ricerca del miglioramento della qualità delle andature che si può riassumere in due parole:  cadenza ed impulso.  Entrambe si ottengono caricando la molla delle articolazioni posteriori. 

A titolo di esempio, quando un cavallo affretta il ritmo,  il cavaliere inesperto farà delle volte oppure una serpentina;  quello esperto una mezza fermata.

Se invece vi è una carenza di impulso (tensione dorsale), il cavaliere inesperto farà un po’ di galoppo per scaldare il cavallo ed userà la frusta con una mano, tenendo le redini con l’altra;  quindi tornerà alla posizione iniziale,  sollecitando il cavallo a mantenere l’impulso in assenza di aiuti come premio.

Il cavaliere esperto, invece,  attiverà la gamba a partire dalla schiena per arrivare allo sperone.   Quando sarà stata ristabilita la tensione dorsale dovrà agire soltanto con il peso del corpo abbassando le mani per aiutare il cavallo a piazzarsi correttamente.

 

 

 

 

 

La regola generale è che, per lavorare e sviluppare l’impulso, bisogna insistere soprattutto con l’esercizio delle transizioni (“Le transizioni”);  soltanto cavalieri di grande esperienza e forniti di un assetto veramente efficace possono derogare, in parte, a questa regola.

Osservando il lavoro nei campi di prova ci si rende conto di quanti cavalieri si illudono di modificare qualcosa nell’equilibrio reale dei loro cavalli.

Infine, la conquista dell’impulso, nell’equitazione naturale, è molto più facile che in quella di scuola perché l’impulso è una condizione essenzialmente psicologica del cavallo che sente il cavaliere che va con lui:  ne discende una qualità dell’impulso diversa e molto migliore di quella ottenuta con il lavoro di scuola.   Osservate nei campi prova quanto galoppo di lavoro devono fare i cavalieri per ottenere un cavallo in avanti.  Nell’equitazione naturale, quando un cavallo è pronto, bastano pochi tempi di galoppo alle due mani ed il cavallo scorrerà, da solo, negli aiuti(invisibili) del cavaliere.

                                                                                         Carlo Cadorna

5 Responses to “L’IMPORTANZA DELL’IMPULSO”

  1. Filippo Gargallo #

    Che bello il paragone con il timone di una barca in bando!

    13 Febbraio 2014 at 22:27 Rispondi
    • lastriglia #

      E’ il paragone che spesso Piero d’Inzeo, appassionato velista, portava ad esempio.

      13 Febbraio 2014 at 23:29 Rispondi
  2. Naty #

    L’equitazione di cui lei parla in ogni singolo post o articolo seminato nel Web e pubblicato su varie riviste sottolinea ad ogni parola la complessità di quest arte che non può assolutamente essere affidata al caso. Eppure è il caso, la fortuna e non so cos’altro che governa il mondo equestre attuale!
    Bisognerebbe convincerla a scrivere dei libri equestri obbligatori per ogni singolo istruttore d’Italia..affinché possa trasmettere un minimo di senso e coerenza a ciò che si insegna nei maneggi.
    C’è il vuoto cosmico.
    La maggior parte cammina a un metro da terra credendosi il depositario di chissà quale verità equestre..
    E invece..
    Io sono un autodidatta (consapevole dell importanza di un istruttore a terra) che spesso ha avuto sensazioni in sella terribili quando eseguivo alla lettera ciò che mi veniva suggerito da terra.
    Così i miei istruttori sono diventati quei libri di biomeccanica equina e di equimozione e puro sentimento equestre che mi guidano giornalmente!
    Grazie per i suoi scritti

    5 Dicembre 2014 at 21:47 Rispondi
    • lastriglia #

      I concetti che espongo si trovano negli scritti dei grandi istruttori della Scuola di Pinerolo: Ubertalli, Forquet, Formigli, Cossilla, etc…Si trovano nel libro “L’equitazione naturale ed i maestri italiani” Ed. Equestri – “Gente di Cavalli” – “Equitazione Superiore” Ed. Mediterranee, “Elementi di Equitazione naturale” (Ubertalli) .

      6 Dicembre 2014 at 09:59 Rispondi
  3. Naty #

    Provvederò a metterli al più presto nella mia piccola libreria equestre.
    Grazie

    6 Dicembre 2014 at 21:50 Rispondi

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