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LA FORMAZIONE EQUESTRE

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Pubblico un articolo riguardante il nesso tra la pratica dell’arte del comando e l’Equitazione che mette in rilievo i principi immutabili che hanno sempre presieduto e presiedono tutt’ora alla formazione dei quadri nell’istituzione  militare:     infatti l’equitazione è nata e si è evoluta sulla base delle esigenze militari attraverso i secoli.

Ora potrebbe conservare le sue espressioni migliori grazie all’attenzione che le autorità militari hanno giustamente nei confronti delle tradizioni e dell’innovazione.

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Infatti, non è un caso che l’istituzione militare sia l’unica che si è autoriformata e rinnovata.  Ha infatti investito nella formazione destinando sempre i migliori ufficiali agli istituti d’istruzione.

Oggi se ne colgono i risultati perché la classe dirigente dell’esercito è eccellente sotto ogni punto di vista.

E’ quindi necessario ed opportuno che la FISE faccia altrettanto investendo nella formazione degli istruttori secondo gli stessi principi che sono ugualmente validi sostituendo il termine “comandante” con la parola “capo”.

Così soltanto l’Equitazione potrà tornare ad essere uno sport educativo così da farlo definire “lo sport  dei  re”.

 

L’APPRENDIMENTO DELL’ARTE DEL COMANDO ATTRAVERSO LA PRATICA DELL’EQUITAZIONE

Insegnare ai Comandanti di domani l’arte del comando è un compito cruciale affinchè l’istituzione militare continui, anche nel futuro, a costituire l’elite del nostro Paese.

Un episodio che ben illustra i contenuti di questa arte è quello realmente avvenuto nel ’57 in Cina:  una nostra delegazione parlamentare era in visita accompagnata dal primo ministro Ciu En Lhai, appartenente ad un’antica famiglia della classe dirigente.  Un nostro rappresentante notò che gli ufficiali non portavano distintivi di grado e chiese come facevano a farsi riconoscere:  la risposta fu che nell’esercito cinese i capi sono riconosciuti da tutti senza alcun bisogno di distintivi.

In questa frase c’è tutta l’arte del comando perché essa discende da un’autorità riconosciuta soprattutto per i principi morali che esprime.

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L’importanza che la classe dirigente abbia dimestichezza con l’arte del comando è una necessità riconosciuta fin dai tempi più antichi. E fin da allora la sua storia è andata a braccetto con l’equitazione, l’arte di addestrare i cavalli.

Per comprenderne le ragioni bisogna considerare che tutti i cavalli hanno una grande sensibilità dovuta  al fatto che erano delle prede e quindi animali da fuga.

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Ma attraverso la selezione, alcuni di essi, mostrano di possedere anche un’intelligenza che spesso non si trova nel genere umano:  di qui la particolare contiguità con l’uomo che consiglia un rapporto di reciproco interesse.

E’ già una scienza l’uso del cavallo per comprendere e curare le persone di più complessa gestione: handicappati  e carcerati.

Questa capacità del cavallo di confrontarsi con l’uomo lo rende particolarmente adatto a metterlo alla prova (“Affinché lo sport equestre sia educativo”) per misurare e sviluppare  le sue capacità di comando.  E’ quindi  il cavallo anche uno strumento di valutazione e di conoscenza, scientificamente accertato,  del carattere di chi con lui si confronta.

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L’arte del comando deriva dall’autorevolezza che il Comandante ha nei confronti dei sottoposti: essa discende essenzialmente dalle qualità morali che esprime.

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Innanzitutto la fede nella bontà del compito assegnato e nella possibilità e capacità di assolverlo;  quindi l’amore per la responsabilità che attiene al compito ed il coraggio di prendere le decisioni necessarie alla sua attuazione.

Inoltre la consapevolezza che non possiamo chiedere agli altri quello che noi stessi non sappiamo fare: in una parola, si comanda con l’esempio.

Il naturale corollario di questo principio fondamentale è che il Comandante deve essere obiettivo, generoso e giusto;  deve possedere nobiltà d’animo ed umiltà,  essere capace di dominare se stesso, vincere le debolezze, frenare gli egoismi:  tutto ciò contribuirà ad acquisire grandezza, disciplina e senso dell’onore.

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Il Comandante deve essere un modello da trasmettere ai propri dipendenti: non basta farsi ubbidire ma occorre saper motivare, coinvolgere ed indirizzare per raggiungere insieme l’obiettivo finale.  Il personale ai suoi ordini deve collaborare con serena e convinta partecipazione.

L’azione di comando deve essere mirata ed adeguata alle caratteristiche ed al carattere di ogni dipendente:  è perciò di grande importanza che il Comandante conosca bene il proprio dipendente fin dal primo giorno.

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Si può realizzare attraverso un colloquio diretto che scavi nelle passioni, negli affetti e nelle abitudini per avere una risposta sincera e stabilire, da subito, un rapporto di fiducia che porterà il dipendente a confidarsi con il proprio superiore.

Chi ben comincia è a metà dell’opera:  quindi è essenziale che i dipendenti conoscano le linee guida entro le quali dovranno operare ed abbiano, sin dall’inizio, la sensazione di essere entrati a far parte di un’organizzazione efficiente nella quale nulla è lasciato al caso.

Di particolare importanza è la scelta dei graduati e dei collaboratori :  nell’appropriatezza di questa valutazione i dipendenti riconosceranno  la capacità del superiore di amministrare con senso di giustizia.

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Dovranno imparare a conoscere, sin dall’inizio, il modo di esprimersi del superiore  e la sua misura nel pretendere e nel concedere:  in questo modo non potranno esservi malintesi ed il rapporto gerarchico si consoliderà nella lealtà e nel rispetto reciproco.

In questo clima collaborativo, la punizione formale sarà inutile e controproducente essendo già sufficiente il semplice richiamo.  Il premio costituirà invece uno stimolo di grande efficacia.

Di particolare importanza per il superiore è la comprensione precoce della personalità e del carattere del dipendente per potervi  adeguare l’azione di comando affinchè possa essere  efficace ed ottenere i migliori risultati:  ai caratteri forti e maturi deve essere lasciata grande libertà d’azione e devono essere controllati senza che quasi se ne accorgano.

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In questo modo il loro senso di responsabilità avrà il massimo sviluppo unitamente all’orgoglio di essere, o credere di essere,  gli unici artefici dei propri successi.  Per questo motivo, gli eventuali rilievi dovranno essere fatti con molto tatto anche se in modo inequivoco.

Al contrario, i caratteri deboli e poco maturi devono essere guidati e controllati in continuazione fino a che il corretto operare diventi anche per loro una sana abitudine e convinzione.  Il superiore non dovrà far loro mancare il riconoscimento e l’incoraggiamento per i risultati ottenuti.

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Ogni evento o comportamento che riguardi gli inferiori dovrà essere analizzato e commentato allo scopo di trarne degli insegnamenti per il futuro.

I dipendenti si avvantaggeranno moltissimo di un programma di addestramento che non sia monotono ma, al contrario, ne risvegli continuamente tutte le capacità mettendole alla prova:  dovrà però essere sempre rispettata una scrupolosa progressione in una cornice di sicurezza.   Applicata anche in campo fisico,  individualmente mirata, terrà anche la mente in uno stato di freschezza e di disponibilità all’iniziativa.

Infine è essenziale che il superiore abbia un tratto che gli permetta di non entrare mai in conflitto con la sensibilità dei propri dipendenti.  Al contrario, dovrà mostrare loro di averli a cuore, soprattutto nei momenti di difficoltà.

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Queste linee essenziali nella formazione dei Comandanti si ritrovano, pressochè  identiche, nella formazione e nell’addestramento dei cavalli (Equitazione).

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Prima di incominciare ad addestrare un cavallo bisogna osservarlo per conoscerne le attitudini, i difetti che possono influire sul suo equilibrio, sulla sua indole e sulla possibilità di utilizzare correttamente il suo motore che è rappresentato dalle sue leve posteriori:  lo sviluppo delle potenzialità di questo motore, sottomesse agli aiuti del cavaliere,  rappresenta lo scopo principale dell’addestramento.

Per muoversi il cavallo utilizza l’oscillazione della colonna vertebrale  incrementandola attraverso l’uso, come un bilanciere, dell’incollatura (come noi usiamo le braccia).  L’oscillazione della linea dorsale, longitudinale e laterale, provoca a sua volta la flessione delle articolazioni lombo-sacrale e coxo-femorale (come nell’uomo) che costituiscono le leve principali del movimento e dell’equilibrio del cavallo.

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Si inizia dalla doma nella quale il cavallo comprende, attraverso la sottomissione alla capezza, la superiore volontà ed intelligenza dell’uomo ma anche l’affetto ed il rispetto per il suo benessere che lo porteranno a concederci la sua fiducia:  essa dovrà essere sempre mantenuta attraverso un comportamento aperto e leale perché  è il fattore indispensabile di qualsiasi progresso.

Il primo compito del cavaliere è quello di far comprendere al cavallo il linguaggio degli aiuti in modo che possa comprenderne facilmente le richieste e le indicazioni:  più il linguaggio è semplice più facilmente sarà ben compreso.

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Il cavaliere deve essere pronto a premiare ogni volta che il suo allievo mostra di comprendere;  in questo modo la punizione sarà superflua ed il rapporto di  fiducia si consoliderà sempre di più.

La punizione dovrà intervenire, rapida,  tempestiva e ben comprensibile, soltanto quando il cavallo manifesti una volontà negativa.riunione

 

 

 

 

Per sviluppare la spinta dei posteriori bisogna considerare che i muscoli si sviluppano soltanto quando le articolazioni si flettono;  d’altro canto, le articolazioni, senza il sostegno dei muscoli, sono fragili e soggette a rapida usura.

Da quanto precede, ben si comprende come l’addestramento del cavallo sia essenzialmente un problema di ginnastica, più che un problema di muscoli.  Rese flessibili le articolazioni i muscoli lavorano naturalmente secondo una meccanica corretta,  senza andare sotto sforzo e senza danneggiarsi:  è essenzialmente questa la lezione del Cap. Federico Caprilli, nostro grande caposcuola.

Il Gen. L’Hotte, fine commentatore e caposcuola francese ha espresso nel modo più sintetico questo concetto rapportando le molte utilizzazioni del cavallo alla variabilità del rapporto tra spinta e flessibilità:  soltanto nel perfetto equilibrio tra le due ci concede il massimo impulso di cui è capace.

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La rigidità articolare può derivare da costruzione difettosa, dall’età o da piccole lesioni provocate da lavoro mal concepito,  dalla stanchezza muscolare derivante da richieste eccessive o allenamento insufficiente.  Individuata la causa, bisogna agire di conseguenza intervallando spesso il lavoro con momenti o periodi di riposo.

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Nel lavoro quotidiano bisogna tener presente che soltanto in terreno vario oppure nelle variazioni di andatura e velocità (transizioni) possiamo intrattenere la flessibilità del cavallo:  è anche l’unico mezzo per mantenere viva la sua attenzione e testare la sua prontezza e disponibilità.

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Il presupposto per poter ottenere un miglioramento dal nostro cavallo è quello di non essere noi stessi causa di rigidità: questo si ottiene attraverso l’acquisizione di un assetto idoneo che, dovendo rispettare contemporaneamente la bocca(il movimento dell’incollatura) e le reni (la flessibilità lombo-sacrale e coxo-femorale) del nostro allievo, non può che essere fermo e centrato.

Infine è bene ricordare che per mantenere quel rapporto di fiducia che abbiamo avuto cura d’instaurare fin dall’inizio, non dobbiamo mai chiedere al nostro allievo più di quello che è in grado di fare rispettando sempre la più scrupolosa progressione nel lavoro.

Carlo Cadorna

2 Responses to “LA FORMAZIONE EQUESTRE”

  1. timoteo #

    In occasione del centenario dell’entrata in guerra si è molto parlato delle battaglie e delle forze armate protagoniste , ma poco o niente della cavalleria come al solito; dal punto di vista di questa rubrica sarebbe interessante capire con quale istruzione entrò in azione , con il vecchio o il nuovo sistema di montare ?

    7 Maggio 2015 at 16:36 Rispondi
    • lastriglia #

      Col nuovo sistema di equitazione naturale che consisteva, per i soldati, in un assetto con la staffatura corta, il piede completamente introdotto nella staffa (fino al tacco) e l’abitudine a cedere sempre. La cavalleria fu poco impiegata per la presenza delle trincee piene di reticolati ma ebbe un ruolo decisivo durante la ritirata al Piave. Caricò per un’intera giornata(il 30 ottobre) a Pozzuolo del Friuli, sacrificando il 70% degli effettivi. In questo modo riuscì ad impedire agli austriaci di conquistare i ponti sul Tagliamento che erano necessari alla terza armata per raggiungere la linea del Piave. Inoltre il modo con il quale i reggimenti (Genova e Novara) si recarono incontro al nemico (come si recassero ad una parata) fu di esempio e di stimolo a tutto l’Esercito e furono citati (“meritano l’ammirazione…”) nel bollettino del Comando Supremo. Può trovare degli articoli miei su http://www.corrieredellacollera.com ; http://www.carlocadorna.blog.com

      7 Maggio 2015 at 18:19 Rispondi

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