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CAPRILLI: un GENIO incompreso

Il capitano di cavalleria Federico Caprilli ha compiuto, all’inizio del secolo scorso, una grande rivoluzione.

Non, come ritengono in molti, perché avrebbe inventato la possibilità di superare ostacoli di grandi dimensioni lasciando libera l’incollatura del cavallo.

La Sua geniale scoperta parte dallo studio del cavallo nel salto per ripensare tutta l’equitazione. Per Caprilli il salto non è un esercizio innaturale ma il momento di massimo spostamento degli equilibri del cavallo e, come tale, una specie di lente di ingrandimento delle sue esigenze dinamiche.

Per poter saltare con il minimo sforzo, il cavallo ha bisogno di libertà di incollatura e di reni,  nonché di trasportare il fardello del cavaliere il più possibile fermo e vicino al suo baricentro (quindi NON come un peso morto!).

Se il cavallo richiede libertà di incollatura e di reni sul salto, ovviamente le richiede anche nelle andature in piano, seppur in modo meno evidente.  Su questo, pur così semplice assioma, dovrebbero riflettere tutti quei cavalieri che trottano prendendo la spinta dalle reni del cavallo.

Per risolvere il problema del cavaliere fermo e vicino al baricentro del cavallo, Caprilli ha pensato ad un ruolo attivo della staffa opportunamente accorciata per dare al cavaliere la possibilità di accordare il proprio baricentro con quello del cavallo in movimento (“L’assetto in sella”).

La fermezza si deve manifestare soprattutto quando il cavallo tira o quando frena (salti in discesa) allo scopo di combattere,  senza buttarsi indietro, la forza d’inerzia che spinge il cavaliere in avanti.

L’assieme al baricentro del cavallo si deve manifestare soprattutto quando il cavallo accellera (salti in salita) per combattere la forza d’inerzia che spinge indietro il cavaliere. In un cavaliere ben inforcato, la gamba tende ad andare indietro.

Se si accorciano le staffe fino a fermare il ginocchio contro il quartiere e si preme il tallone verso il basso, il cavaliere ferma la gamba ed è in condizione, facendo leva sulla staffa inarcando la schiena,  di sollevarsi dalla sella e di far coincidere su un piano verticale (da fermo) il proprio baricentro con quello del cavallo. Inoltre l’accorciamento delle staffe avvicina le ginocchia del cavaliere ai suoi gomiti consentendogli di resistere con maggiore forza per l’accorciamento del braccio di leva.     In movimento l’asse determinato dai due baricentri sarà inclinato in avanti in proporzione della velocità. Riassumendo, la fermezza è data dal ginocchio, l’equilibrio dal giusto uso della staffa.

Questo sistema ha il grande vantaggio di raggiungere la solidità attraverso l’equilibrio con il cavallo,  lasciando libera la gamba di svolgere il suo ruolo attivatore dell’impulso.  Introduce un concetto dinamico di assieme con il cavallo, consentendogli di coordinare il treno posteriore con quello anteriore.

Al contrario, la dottrina tedesca (di scuola) pretende di ottenere l’equilibrio mediante l’aderenza:  così il cavaliere è sempre in ritardo, costituisce un peso morto e quindi disturba moltissimo il cavallo, soprattutto se è sensibile.   E’ rimasta ad un concetto statico, , ottocentesco dell’assieme con il cavallo;  le azioni del cavaliere hanno effetto soltanto sul treno posteriore che non riuscirà a coordinarsi con quello anteriore.

Quella francese (molto più vicina all’equitazione naturale) fermando la gamba contro il costato del cavallo: assetto NON fermo(perché non è fermo il ginocchio);   grave disturbo e mancanza di indipendenza della gamba (leggi commento tecnico “L’azione del peso del corpo)!

Fin qui il capitano Caprilli un secolo fa. Ma da allora le esigenze delle competizioni sono molto cambiate: oggi è impensabile affrontare decorosamente una competizione senza disporre di un cavallo riunito, cioè in grado di muoversi agevolmente in spazi ristretti.

Vi sono due modi per comprimere una molla (=riunire) : comprimerla dalle due parti oppure premere da una parte e contenere dall’altra.  Riportando questa similitudine al cavallo, la prima ipotesi comporta una risultante delle due forze orientata, non in avanti, ma verso l’alto:  come dire che una parte della spinta del cavallo, anziché essere orientata a farlo avanzare, lo fa sollevare per aria. Siamo evidentemente in piena antitesi con l’esigenza di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo;  vi sono inoltre gravi controindicazioni con l’esigenza di superare ostacoli larghi (riviere etc..).

La seconda ipotesi è evidentemente quella corretta per un cavallo che deve saltare. Per semplificare, la gamba e l’assetto hanno la funzione di premere, la mano quella di contenere. Poiché la mano è attaccata, per il tramite delle braccia al corpo del cavaliere, condizione necessaria perché contenga e non prema è che il corpo sia sempre in perfetto equilibrio ed insieme con il cavallo. Se il corpo va indietro, la mano tira.  Ecco perché oggi molti cavalli non riescono a passare bene la riviera che, pure, è larga un semplice tempo di galoppo!

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Il sistema Caprilli ha un altro vantaggio: se la mano non tira, il cavallo non ha motivo per traversarsi, essendo questa una difesa che il cavallo oppone all’azione eccessiva della mano. Quindi, niente spalla in dentro, appoggiate etc…., per mettere diritto il cavallo:  tutti esercizi dannosi per il salto perché insegnano al cavallo ad utilizzare la spinta anziché per avanzare, per muoversi verso l’alto (leggi “L’equitazione nell’ottica delle funzioni”). Non vi è quindi alcuna necessità di effettuare esercizi complicati ed il lavoro ne risulta  molto semplificato,  in piena armonia con il benessere del cavallo e da questo meglio compreso.

Un altro vantaggio da mettere in rilievo è quello che riguarda l’impulso:  siccome l’assetto caprilliano mette il cavaliere in condizione di andare con il cavallo,  il cavallo non perde il suo impulso naturale ma anzi, tende ad incrementarlo: di qui la possibilità di lavorare in discesa degli aiuti utilizzando soltanto l’azione del peso del corpo (“L’azione del peso del corpo”).  Quindi l’impulso, nell’equitazione naturale, è di una qualità superiore :  consente quindi al cavaliere di avere il cavallo “in avanti”  con poco sforzo e lavoro.

Resta da chiedersi perché in Italia, paese che ha inventato l’assetto caprilliano, esso sia così poco diffuso.  Credo prima di tutto, perché vi sono pochi istruttori idonei ad insegnarlo.   Inoltre, manca una normativa specifica cui fare riferimento:  sarebbe molto opportuno e doveroso che l’A.N.A.C. e lo SME  avviassero un percorso volto ad ovviare finalmente a questa grave lacuna.

Ma anche per la superficialità, tipicamente italiana, nell’affrontare i problemi. Perché  i cavalli di Luca Moneta, Bruno Chimirri e Lorenzo De Luca dimostrano un addestramento caprilliano:  ed i risultati si vedono!  All’estero possiamo osservare Bezzie Madden,  Jane Richards,  Cian O’ Connor, Laura Kraut,  Brianne Goutal, Jan Candele, Georgina Bloomberg, Rich Fellers, Nayel Nassar, Abdel Said, Charlie Jacobs   per citarne alcuni di grande e, soprattutto, costante successo.

Carlo Cadorna

P.S.  Per approfondire l’argomento leggi www.laici.it/viewarticolo.asp?Id=2253

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A fianco: lettera inviata al mensile L’Eperon nel 2000.

2 Responses to “CAPRILLI: un GENIO incompreso”

  1. giuseppe maria de nardis #

    Incompresa ai nostri giorni per una profonda ignoranza, non solo tecnica ma anche storica. Non saprei se graduare la responsabilità di coloro che hanno contribuito a ciò come colposa, per incuriam, o dolosa. Molti ne hanno tratto vantaggi economici. L’Equitazione, cioè i cavalli, ne hanno sofferto e ne soffrono.
    Per fortuna alcuni rivolgono lo sguardo all’estero (soprattutto USA), un pò come accadde al Cristianesimo che tornò a rivitalizzarsi in Europa grazie alla venuta dei monaci irlandesi formatisi sull’insegnamento di S. Benedetto, o come il Corpus Juris codificato a Beirut per volere di Giustiniano.
    Tuttavia in Italia ci sono ancora persone ed associazioni che sarebbero in grado di trasmettere queste conoscenze,e ne abbiamo contezza senza bisogno di elencarle quì.
    Possiamo sperare che la nuova FISE voglia salvaguardare questo patrimonio culturale, lasciando intatto il diritto di coloro che hanno acquisito titoli, creando una forma di riconoscibilità delle scuole e dei tecnici che praticano Equitazione Italiana, cioè caprilliana? Oppure si dovrà ricorrere ad un’iniziativa non istituzionale, con persone di provata e storica conoscenza del Sistema?
    Personalmente preferirei la prima opzione, ma certo che se non si decidesse in ambito federale per la tutela della conservazione del sistema caprilliano, bisognerebbe che tutti coloro che condividono questa necessità cominciassero a pensare di farlo ricorrendo alla seconda opzione.
    Grazie dell’ospitalità,
    giuseppe maria de nardis

    2 Dicembre 2012 at 17:27 Rispondi
    • lastriglia #

      Condivido la Sua analisi: vi sono state grosse responsabilità nel dopoguerra, quando sarebbe stato facile costituire una scuola nazionale a Montelibretti. Ma la classe dirigente che gestiva la FISE era costituita da molte persone che non rispondevano a criteri di efficienza se non altro perchè la mattina comparivano alle 11. L’istruzione è stata delegata ai sottufficiali che avevano una cultura limitata: inoltre si è fatta confusione tra gli istruttori che operavano con i soldati(incompetenti) e quei pochi(competenti) che venivano dal centro preparazione gare ippiche. In tempi più recenti sono stati fatti gravi errori nella scelta dei tecnici(è questa scelta che qualifica una dirigenza nello sport!).
      Ho avuto una buona impressione del nuovo Presidente e le prime scelte confermano questo giudizio: in particolare la scelta, strategica, del tecnico di riferimento del settore formazione è eccellente.
      Il presidente ha promesso di indicare un sistema unico di istruzione: l’importante è che, a prescindere dall’impostazione, sia un metodo. Questo presuppone che sia definito, nei minimi particolari estetici e funzionali, l’assetto del cavaliere che costituisce la base di qualsiasi sistema di equitazione.
      L’attuale testo per gli istruttori, pur ben fatto nel suo complesso perchè ha affrontato aspetti moderni dell’istruzione, è carente e contradditorio nella parte tecnica perchè non definisce le caratteristiche funzionali dell’assetto, contiene dei disegni che sono in contrasto con le leggi della fisica e suggerisce degli esercizi di cui ignora gli inconvenienti: è successo perchè è stato copiato di sana pianta da un testo poco valido (Museler) da parte di persone che non erano all’altezza del compito.
      In un testo degno di una federazione, ogni prescrizione deve essere spiegata sulla base di una logica che non
      può prescindere dalla conoscenza del funzionamento della struttura fisica del cavallo. Per esempio, è un fatto acquisito anche dalle prescrizioni della FEI che “tenere” l’incollatura del cavallo in una posizione per più di dieci minuti provoca gravi danni dorsali: e allora, come la mettiamo con gogue, redini di ritorno, chambon etc…?
      La verità è che, in base alle conoscenze attuali, sono degli autentici strumenti di tortura! Per concludere, non sono ottimista come Lei sull’esistenza di un “folto” gruppo di conoscitori del sistema naturale: in un recente convegno federale ho ascoltato un tecnico, che dovrebbe appartenere a quel gruppo, affermare che il cavaliere Markus Ehning monta in modo caprilliano! Ho fatto, poco sopra, l’esempio dei due modi di comprimere una molla: certamente il cavaliere tedesco usa il primo perchè non cede mai, nemmeno sulla parabola del salto! Ed il suo baricentro è sempre dietro a quello del cavallo…

      Carlo Cadorna

      3 Dicembre 2012 at 12:40 Rispondi

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