Il Comitato Olimpico Internazionale ha posto alla FEI un obbiettivo da raggiungere per assicurare la permanenza degli sport equestri alle olimpiadi: l’aumento del numero delle nazioni partecipanti e dell’interesse mediatico con un limite massimo di duecento cavalli partecipanti.
Sono state quindi messe al lavoro le commissioni tecniche che hanno avanzato delle proposte con, a fattor comune, la costituzione di squadre di soli tre cavalieri per tre risultati utili ed indispensabili.
Questa soluzione, avversata dai cavalieri, obbligherebbe in realtà le nazioni a designare dei selezionatori realmente competenti con indubbio vantaggio per la crescita sportiva e per il benessere dei cavalli.
Tanto per fare un esempio, tutti i cavalli che manifestano delle pur piccole difese sarebbero esclusi perché senza poter scartare alcun risultato bisogna prima di tutto selezionare dei cavalli sani e con un addestramento più che corretto: la conseguenza sarebbe una maggiore attenzione generale alla giusta progressione nel lavoro e la conseguente svalutazione dei cavalli tarati.
Sorprende piuttosto che nessuno, in ambito FEI, abbia considerato questo aspetto largamente positivo: ritengo che derivi dalla diffusa ignoranza culturale (“Il deficit culturale del mondo equestre”) che fa si che gli attuali metodi di lavoro siano considerati “classici” e quindi giusti, mentre non lo sono affatto! (“Lo sviluppo della funzione di flesso-estensione”).
Non è un caso che il nostro miglior cavaliere (quello che fornisce prestazioni più regolari -sul piano tecnico- al primo livello) rifiuti il tipo di lavoro che viene praticato da tutti gli altri: non voglio sostenere che abbia ragione al 100% ma certamente il Suo atteggiamento è fondato anche perché ha indubbiamente una sensibilità (“Il senso del cavallo”) superiore agli altri.
Piuttosto, la FEI è intenzionata ad uniformare tutti i campionati ad un unico modello: sparirebbe quindi dai WEG la finale a quattro con lo scambio dei cavalli: su questo punto tutti i cavalieri sono d’accordo perché lo scambio mette in risalto il vero valore dei cavalieri a prescindere dalla cilindrata del motore dei cavalli che montano. Io la vedo quindi come una conseguenza negativa!
Sarebbe anche tagliato il numero delle prove di selezione: poiché la giusta preparazione di un cavallo si vede alla distanza, sarebbe un altro elemento negativo. E’ in discussione anche il modo di conciliare la prova a squadre con quella individuale (quale sarà teletrasmessa?).
Si discute anche del sistema delle wild-cards a pagamento che riguarda la partecipazione ai concorsi importanti dei cavalieri che non figurano nei primi trenta della ranking-list. Il costo varia da 6.000 a 25.000 euro: a prima vista potrebbe sembrare ingiusto perché avvantaggia i ricchi.
In realtà non è proprio così: infatti questo sistema porta alla partecipazione dei cavalieri che hanno qualche possibilità di rifarsi della spesa andando a premio. Quindi una selezione naturale in favore della qualità. Per i cavalieri ricchi ma scadenti ci pensano i direttori di campo a fargli passare la voglia di prendere barriere tra i denti e devono accontentarsi di partecipare alle categorie di contorno!
I cambiamenti riguarderanno tutte le discipline, anche quelle non olimpiche. Per concludere mi pare che c’è molto fermento nel mondo equestre anche in relazione alla controversia tra Jan Tops e la FEI(“La concorrenza”).
A mio parere, nella questione chiave della crescita dello sport equestre vi è un elemento essenziale che non viene considerato: la qualità dell’insegnamento. I sauditi hanno preso una medaglia alle olimpiadi pagando profumatamente un valente istruttore: ora l’hanno abbandonato e sono andati a picco (purtroppo ne hanno fatto le spese i loro cavalli). Lo stesso succederebbe al Qatar se si mettesse in proprio….perchè le conoscenze, in ambito equestre, non si improvvisano e richiedono decine di anni di maturazione.
In realtà quindi non è affatto facile far crescere il movimento sportivo perché vi sono pochissimi istruttori veramente capaci e disposti a trasmettere ad altri il loro bagaglio culturale.
Carlo Cadorna